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Negli ultimi decenni guerre, crisi economiche e povertà nei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo hanno aumentato il trend migratorio. In particolare, le persone provenienti da Sud America, Africa e Asia cercano di spostarsi verso aree più ricche, come gli Stati Uniti e l’Europa. In quest’ultima, la crisi dei rifugiati è diventata un tema delicato a causa della complessa struttura gestionale dell’UE e a causa di un gran numero di membri direttamente coinvolti nel processo migratorio. Dalle prime decisioni prese a Bruxelles alle ultime opzioni discusse tra i membri europei, sembra che questo problema faccia emergere divisioni piuttosto che unità di intenti. Guardando cronologicamente i passi compiuti dall’Unione Europea, è evidente l’assenza di una visione comune nella gestione dell’immigrazione.
Un problema sottovalutato
Quando nel 1957 fu firmato il Trattato di Roma, la possibilità di affrontare una crisi dei rifugiati non era sul tavolo e il fulcro della collaborazione europea era completamente basato su questioni economiche. Dopo la fine della Guerra Fredda e il grande allargamento dell’UE, l’area economica si è allargata e confinava direttamente con l’Asia e indirettamente, attraverso il Mar Mediterraneo, con l’Africa. Le questioni sociali iniziarono ad essere al centro delle discussioni e le nazioni del sud in particolare portarono la questione migratoria all’attenzione di tutti gli Stati membri. Nei primi anni di questo secolo, le nazioni europee hanno firmato il Trattato di Dublino sulla gestione dei migranti: la nazione di arrivo del migrante dovrebbe gestire autonomamente la procedura di accoglienza. Di conseguenza, nazioni vicine ai confini europei sono state valutate con maggiori responsabilità rispetto ad altre. Questo è stato il primo segno di una mancanza di solidarietà tra gli Stati membri.
Dopo la crisi finanziaria e la guerra in Siria e in Libia, la migrazione è diventata una vera e propria crisi per i rifugiati con migliaia di persone che si sono spinte alle frontiere europee. Per aiutare le nazioni più colpite, Bruxelles ha iniziato a pensare a una nuova formulazione del trattato di Dublino, ma le divisioni tra nord e sud hanno reso impossibile la creazione di un nuovo assetto strutturale per ciò che riguarda i migranti. Tuttavia, alcune politiche sono state messe in campo: un controllo di sicurezza comune del Mar Mediterraneo per evitare partenze dall’Africa, una distribuzione volontaria dei migranti tra le nazioni europee da decidere passo dopo passo, il controllo delle frontiere esterne (come quelle tra Grecia e Turchia) per controllare chi sta tentando di attraversare la zona Schengen. Queste decisioni rappresentano certamente dei passi importanti ma sono insufficienti.
Le decisioni unilaterali senza effetti concreti
Di conseguenza, alcune nazioni hanno deciso di agire da sole: l’Ungheria ha costruito un muro al confine con stati extra UE, la Francia sta aumentando i controlli legali ai suoi confini e l’Italia respinge i migranti dalle navi delle ONG e stipula accordi indipendenti con nazioni specifiche, come la Libia, per fermare le partenze. D’altra parte, alcuni anni fa la Germania aveva deciso di accogliere migliaia di stranieri all’interno dei suoi confini in segno di solidarietà. Ma a quanto pare, non esiste una visione comune su come gestire il problema della migrazione. Infine, vale la pena notare che l’UE ha finanziato direttamente Stati stranieri come la Turchia per aiutarli a controllare i flussi migratori, ma con effetti insufficienti.
E gli effetti di questa grande confusione si manifesta nei fatti, come riporta il corriere della sera: “Solo nel Mediterraneo centrale muoiono ogni anno più di 2000 persone nel disperato tentativo di raggiungere le nostre coste. Chi riesce a sbarcare deve attendere tempi lunghissimi per l’esito della richiesta di asilo. Più o meno la metà riceve una risposta positiva, poi inizia il calvario dell’inserimento sociale e lavorativo. L’altra metà viene espulsa per mancanza dei requisiti, ma solo un terzo ritorna a casa. Gli altri finiscono per vagare come irregolari.”
Le nuove proposte europee alla prova del sovranismo di Meloni
Le istituzioni Ue hanno più volte provato a cambiare il Regolamento. Ora è sul tavolo una ambiziosa riforma chiamata «Patto europeo per l’immigrazione». Si prevede, fra l’altro, un meccanismo di solidarietà obbligatoria, con soglie minime di riallocazione dei migranti in base alla popolazione e al Pil di ciascun Paese, nonché il dovere di contribuire in altri modi all’«equa ripartizione» in situazioni di emergenza, come sempre riporta il Corriere della Sera. Il Patto è attualmente bloccato (si vota all’unanimità), principalmente per le resistenze dei Paesi nordici e l’opposizione dei Paesi di Visegrád, Polonia e Ungheria in testa. L’attuale presidenza di turno svedese non considera il Patto una priorità. A Stoccolma c’è un governo di minoranza sostenuto dall’esterno dai Democratici svedesi, un partito di estrema destra ostile all’immigrazione. Una prova eccellente di come il sovranismo funzioni.
È a questo punto che si inserisce il fattore Meloni: cosa farà la presidente italiana espressione più alta del sovranismo della penisola? Difendere ancora una volta il sovranismo e darla quindi vinta a Visegrad con l’effetto di rimanere senza aiuto comunitario o rinnegare ancora una volta il suo populismo di aria fritta e scendere a patti con gli altri stati? Nel frattempo, Meloni dà un colpo alla botte ed uno al cerchio con la Francia sul tema immigrazione forse per tattica, molto più probabilmente per inesperienza istituzionale. Anche lei è rimasta vittima del suo stesso personaggio creato ad arte per fare opposizione, meno funzionale per fare la Statista.
Ad ogni modo, la crisi dei rifugiati mostra la fragilità dell’Unione europea in termini di solidarietà. Se la crisi finanziaria, la pandemia e forse quella Ucraina hanno reso l’UE più unita nel trovare soluzioni efficaci, il tema migratorio resta un tabù a Bruxelles. L’immigrazione è sempre stata una questione di primo piano nella storia dell’umanità: la paura irrazionale che la società venga invasa da estranei ha sempre influenzato il decisore politico. Pertanto, da un punto di vista storico, non sorprende la divergenza di vedute dei paesi europei nella gestione di questo problema; è più scioccante che i governi non capiscano quanta immigrazione continuerà a colpire l’Europa, e che in questa situazione solo agendo in modo coeso l’Europa potrà affrontare la crisi e trovare soluzioni strategiche.
Di Roberto Biondini
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