Aprile 18, 2024

Il Caffè Keynesiano

UN SORSO DI ECONOMIA PER LA PAUSA QUOTIDIANA

La manovra di governo 2024: l’analisi del Caffè Keynesiano

La legge di Bilancio per il 2024 presentata dal Governo Meloni pare l’ennesima minestra riscaldata, con poche novità e perlopiù a spot, segno che la stretta monetaria e il mutamento degli scenari geopolitici si fanno sentire anche nel Bel Paese. Già la NADEF ci segnalava uno scenario fosco, a differenza del DEF, con pochi denari a disposizione – in tutto saranno mobilitati 28 mld – e concentrati su imperativi macroeconomici di “buon senso” (si fa per dire), ma poco lungimiranti, con misure a tempo che servono più a marcare le posizioni sbandierate durante il primo anno di governo che a fare gli interessi del Paese.

Denari e coperture: a quanto ammonta la manovra e come verrà finanziata?

La legge di Bilancio 2024 si appresta ad essere la quarta, per importo più basso, degli ultimi 10 anni. I suoi 28 mld, di cui 4 agganciati ad altri provvedimenti (decreto Lavoro di maggio), si colloca appena dietro alla manovra del Governo Gentiloni (anno 2018 – 22,5 mld) e di quello di Letta (2014 – 14,7). Nel complesso supera di poco quella dell’ultimo anno dell’epoca Renzi (2017 – 27 mld) e con quest’ultimo condivide l’impostazione di fondo: aumentare i soldi nel portafoglio degli italiani per far crescere la domanda interna. L’Italia, infatti, trova nel consumo nazionale uno dei suoi punti deboli, avendo da tempo puntato quasi tutte le fiches sull’export di beni ad alto valore aggiunto, realizzati con salari molto bassi e un costo energetico – almeno fino allo scoppio della guerra in Ucraina – contenuto. In piccolo, l’Italia imita quello che da tempo fa la Germania, anch’essa in difficoltà proprio per il mutamento del contesto geopolitico. Da qui l’idea di Giorgetti di spingere i consumi e cercare di contrastare gli effetti dell’inflazione.

Tuttavia, proprio il tasso d’inflazione rischia di inficiare il pacchetto di investimenti più consistente: 10 mld sul taglio del cuneo fiscale e 4,3 (4,8mld) sulla riforma dell’IRPEF che passa da 4 a 3 scaglioni, con un aumento della NO-TAX area a 8.500€ (nei fatti a 13.000€). In sintesi, col taglio del cuneo si ottiene una riduzione del 7% dei contributi previdenziali per i redditi sino a 25.000€, che diventa del 6% per quelli sino a 35.000€; con la riduzione dell’IRPEF, invece, quest’ultimo diventa del 23% per i redditi sino a 28.000€, del 35% per quelli fino a 35.000€ e infine si assesta al 43% per quelli oltre i 50.000€. Tradotto? Bene o male tra taglio e del cuneo e riduzione dell’IRPEF gli italiani interessati (rispettivamente, 14 mln con la prima misura e 20/21 mln con la seconda) si porteranno a casa circa una mensilità aggiuntiva all’anno (ovviamente solo nel caso beneficino di entrambe). Ad esempio, con una retribuzione lorda di 1.000€ al mese si otterrà in busta paga un vantaggio (all’anno) di 670€, mentre con 2.000€ al mese di 1.242€. Spalmati sui 30 giorni, si superano gli 80€ di Renzi, arrivando a circa 117€ netti al mese, tuttavia ci sono alcuni però di cui tener conto.

Il primo è che l’inflazione si è già mangiata in un sol boccone quasi tutto questo aumento, anche perché i prezzi dell’energia (si pensi alla benzina) e degli alimentari sono ancora sostenuti (con quest’ultimi che oscillano tra il +7,7% e +10% – fonte ISTAT). In secondo luogo, entrambi questi tagli non sono strutturali, poiché copriranno giusto il 2024, poi si vedrà e questo non aiuta a spostare le aspettative e quindi i comportamenti degli italiani. C’è chi a fronte dei maggiori introiti preferirà fare la formica, disattendendo l’effetto che questo bonus dovrebbe avere sui consumi interni. Infine, esiste anche qui un margine di iniquità.

D’altronde, come ha riportato il Sole 24 Ore, il taglio dell’IRPEF dovrebbe impedire a chi supera i 50.000€ all’anno di ottenere una qualsivoglia forma di sconto, ma nei fatti non è così, perché è sufficiente non fare alcuna detrazione per conquistare lo sconto massimo: 260€ all’anno. Considerato che su 2,52 milioni di italiani di contribuenti che dichiarano più di 50.000€ ben mezzo milione non inserisce alcune detrazioni nella denuncia dei redditi, è assai probabile (salvo correttivi) che potrà usufruire del bonus di 260€.

Pensioni e sanità: sospese tra promesse e propaganda

Durante la presentazione della manovra sul tema pensioni la comunicazione si è fatta incerta. Per Salvini era importante confermare le risorse per il ponte sullo Stretto e quindi ha accettato “supinamente” la riduzione imposta da Giorgetti alle pensioni. Arriva quota 104, con la quale si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi e 63 di età (senza penalizzazioni), rimane l’Ape sociale a 36 anni di contributi per gli uomini e 35 per le donne con un assegno ponte sino a 1.500€. D’altronde la spesa pensionistica assorbe il 16% del PIL e nel 2024 salirà a 17%, e ciò complica la quadra dei conti pubblici. C’è poi la rivalutazione delle pensioni, nota positiva della manovra, perché sarà proporzionale a quanto percepito; quindi, le pensioni d’oro otterranno un po’ meno rispetto a quanto mangiato dall’inflazione.

Numeri alla mano: solo le pensioni fino a 4 volte la minima (quindi sino a 2.100€ al mese) otterranno l’adeguamento all’indice dell’inflazione del 2023 (8,1%) le altre, invece, otterranno sensibilmente meno. Tra i 2.101 e i 2.662€ sarà dell’85%, per arrivare al 32% di chi percepisce sopra i 5.253€ al mese, ed anche il conguaglio del 2023 porterà nelle tasche dei 16 mln di pensionati italiani una cifra modesta (tra i 5 e i 20€ al mese), facendo risparmiare allo Stato – come sottolineato dal Corriere – 10 mld di euro in 3 anni.

Sulla sanità il dibattito tra opposizioni e maggioranza si è acceso, perché inizialmente il governo Meloni è stato accusato di voler tagliare i fondi al comparto, salvo poi scoprire – come ha evidenziato Pagella Politica – che in valori assoluti i miliardi messi da Meloni sono di più rispetto a quelli stanziati dagli altri governi. Tregua fatta? No, anche perché il valore assoluto dice tutto e niente. Nella manovra la sanità riceverà 3 mld, uno in meno rispetto a quanto chiesto dal Ministro Schillaci, che farà lievitare il computo di spesa annuale a 136 mld, rispetto ai 133 previsti dalla NADEF (segno che la polemica a volte aiuta).

Ma c’è un però perché, se si considera l’inflazione e il rapporto spesa PIL, la sanità, da qui al 2026, riceverà meno fondi: passando dal 6,6% al 6,1% del PIL. Diciamo che le opposizioni avevano ragione, ma partivano da una posizione sfavorevole (visto che i tagli erano già iniziati nell’epoca Draghi, col Ministro Speranza) e che l’argomentazione si è concentrata sui valori assoluti e non percentuali.

Sempre in tema di sanità è singolare la richiesta di 2.000€ una tantum per far accedere i migranti senza permesso di soggiorno al SSN. Si tratta di persone che fuggono da luoghi spesso inospitali, dopo mesi di viaggio in condizioni indicibili e che giungono in Italia con poco o nulla. Quando si parla di integrazione e del suo fallimento si dovrebbe riflettere anche sulle modalità con cui si accoglie chi ha bisogno. Detto questo, nota positiva, il governo punta ad aumentare gli stipendi dei sanitari con ulteriori 2,5 mld di spesa, che si aggiungono ai 5 mld di tutto il comparto della Pubblica Amministrazione (PA). Pesano ancora le lista d’attesa post pandemia e la carenza di personale, la quale – per distorsioni – avvantaggia i medici freelance rispetto a quelli assunti ed eroga lauti rimborsi alle strutture private.

L’incentivo alla famiglia e la lotta all’inverno demografico

Sulle famiglie il governo si gioca circa 1,7 mld, così ripartiti: 600 milioni sulla carta “dedicata a te” (per le spese dei soli beni alimentari e di prima necessità), altri 200 mln sulle bollette, 380 mln sul mutuo prima casa e infine i famosi 150 mln sugli asili nido. Su quest’ultimo punto è doveroso fare un’analisi puntuale. L’asilo nido rappresenta una di quelle condizioni necessarie, ma non sufficienti (soprattutto se da sola) a stimolare un incremento delle nascite, le quali, per evitare un Paese di soli anziani, devono raggiungere quota 2,2 figli per nucleo famigliare. Ebbene, nonostante queste premesse, nel PNRR alcuni dei tagli riguardano proprio gli asili nido (meno risorse alla costruzione di nuove strutture) e per questo l’incremento di fondi da destinare alle famiglie non garantisce comunque l’accesso, né lo sgravio completo per tutti quelli che ne faranno domanda per il secondo figlio. Se non altro è interessante l’estensione del congedo parentale di ulteriori 30 giorni al 60% dello stipendio e la decontribuzione previdenziale – del 9% – per le madri lavoratrici con almeno due figli.

Imprese e misure a spot

Sul fronte del lavoro sono presenti delle deduzioni per le assunzioni a tempo indeterminato, pari 120% e 130% nel caso di donne con figli, di giovani sotto i 30 anni, di percettori dell’ex-RdC e infine disabili. Viene però sospesa l’ACE (circa 3 mld all’anno per il consolidamento della posizione patrimoniale delle imprese) e vengono rimandate Plastic e Sugar Tax al luglio del 2024. C’è poi il capitolo delle tasse sugli extra-profitti, annunciate e poi velocemente convertite in “accantonamento”, per finire – come evidenziato dall’analisi di LaVoce.info – nel nulla, perché non ci sarà neppure l’annunciato rafforzamento del bilancio patrimoniale bancario. L’elettore potrà sempre consolarsi con la riduzione del canone Rai, che passa da 90 a 70€ all’anno, anche se anche qui il problema non è tanto il costo, ma la qualità dei programmi per cui si paga.

Una legge di bilancio incerta che getta ombre su quella per il 2025 e il 2026

Nel complesso il due Giorgetti&Meloni prova a marcare a uomo tutti i dossier caldi di un anno di legislatura, ma finisce per scontrarsi con l’alta inflazione e la bassa crescita, col risultato di attingere risorse da un futuro ancora imperscrutabile. Le coperture della manovra sono in gran parte prodotte dall’aumento del deficit (16 mld dal 2023 al 2026), da 4 mld dal fondo taglia tasse, da 1 mld di maggiori entrate dovute alle accise sui tabacchi e le rivalutazioni dei terrenti, da 3 mld di spese anticipate al 2023 e da 4 mld dalla spending review (ad ogni Ministero è stato richiesto di tagliare il 5% delle spese discrezionali). Per capire la serietà delle coperture è sufficiente un’analisi della spending review: 2,3 mld per il 2024, 3,9 mld nel 2025 e 11 nel 2026. Prima anomalia, le cifre annunciate in conferenza stampa sono diverse da quelle in manovra (4mld contro 2,3mld), seconda, circa il 65% della spending review è concentro nel solo 2026; che è come dire “ti pagherò domani”, perché da qui al 2026 le variabili sono troppe e i tagli eccessivi per poter prendere seriamente in considerazione questa copertura. Sarà una svista? No, perché anche analizzando i conti del Superbonus si scoprono analoghe anomalie.

A conti fatti l’attuale Legge di Bilancio pare eccessivamente ottimista rispetto al futuro e alle preferenze dei mercati, mercati che al momento confermano le scelte del governo, ma che altrettanto rapidamente cambiano idea quando il vento cambia direzione (Forza Italia ne sa qualcosa). Rimane infine aperta la bagarre politica sul testo, che dovrà passare dal Parlamento, che potrebbe confermare o cambiare l’impianto di Giorgetti&Meloni.

di Claudio Dolci