Aprile 18, 2024

Il Caffè Keynesiano

UN SORSO DI ECONOMIA PER LA PAUSA QUOTIDIANA

Talvolta è meglio scrivere di quello che si sa, piuttosto che di quello che si vede. A maggior ragione, se l’argomento è Javier Gerardo Milei, Presidente eletto della Repubblica Argentina. La ragione di questa precisazione è paradossalmente immediata se ci si affida alle immagini, per lo più grottesche e sorprendenti, ma non meno chiara se si leggono, o si ascoltano, alcune tra le sue dichiarazioni e proposte: dalla legalizzazione del mercato della vendita degli organi alla revoca del diritto all’aborto.

Di più, il soprannome affibbiatogli dalla stampa argentina, e subito fatto proprio dai giornali di tutto il mondo, “El Loco”, è giustificato dalla sua biografia, dai suoi rapporti umani e non con la famiglia, dalle sue apparizioni televisive, dai comizi elettorali e, perché no, anche dal taglio di capelli.

L’ascesa del Loco in un’Argentina schiacciata dal peso dell’inflazione

Tuttavia, passati gli ultimi dieci anni, è evidente che queste caratteristiche non impressionano, né negativamente né positivamente, l’opinione pubblica delle democrazie odierne e non ne influenzano le decisioni all’interno della cabina elettorale. Soprattutto se il paese in questione è l’Argentina, reduce da nove default sovrani, l’ultimo nel 2020, e se l’avversario di Javier Milei è stato ministro dell’economia nella precedente legislatura, Sergio Tomás Massa.

Di origini italiane, come del resto anche il nuovo presidente e sostanzialmente metà della popolazione, egli è stato il candidato di Union por la Patria, la coalizione dei partiti peronisti, un fenomeno politico difficile da definire, il quale fa riferimento all’esperienza tutta argentina di Juan Domingo Perón, ma anche a quelle più recenti di Néstor Carlos Kirchner e sua moglie, ormai vedova, Cristina Fernández de Kirchner, tuttora figura di spicco di quest’area.

Essi, se si esclude la parentesi di Mauricio Macri tra il 2015 e il 2019, sono stati al governo in Argentina dal 2003, dopo che trionfarono opponendosi alle politiche economiche liberiste, o neoliberiste, adottate negli anni ’90, tra cui l’ancoraggio del peso al dollaro per contenere l’inflazione: tali misure hanno portato il paese alla celebre bancarotta del 2001, quando a possedere titoli di stato argentini non erano solo investitori istituzionali ma anche numerosi privati sia in Europa che negli Stati Uniti.

La dollarizzazione e le altre proposte economiche di Milei

Dopo vent’anni, un’inflazione giunta al 138% a settembre, tassi d’interesse al 145% e una campagna elettorale in cui, nonostante tutto, Massa ha avuto gioco facile nel presentarsi come il candidato maggiormente equilibrato, rassicurante e razionale, i peronisti sono stati sconfitti proprio da Milei, il quale, per mettere fine una volta per tutte alla vertiginosa perdita di valore del peso argentino, propone non già la parità con il dollaro, ma il suo diretto utilizzo come valuta di corso ufficiale e di conseguenza l’eliminazione della banca centrale.

Una ricetta che ha sollevato numerosi dibattiti, dal momento che sì in Argentina, vista la tragica situazione monetaria, i dollari circolano diffusamente, ma in ogni caso dovrà essere lo Stato a procurarsene, senza avere le risorse per farlo dovendo oltretutto dare la precedenza al rimborso del prestito contratto con il Fondo Monetario Internazionale.

Il neopresidente, agitando di fronte ai suoi sostenitori una motosega, ha annunciato più e più volte la sua intenzione di procedere, una volta eletto, con pesanti tagli alla spesa pubblica, a cominciare dalla drastica riduzione del numero ministeri, tra cui quello dell’istruzione, con liberalizzazioni estese a quasi tutti i settori dell’economia e con importanti privatizzazioni, forse proprio per garantirsi le risorse necessarie per dotarsi dei dollari di cui il suo governo avrà bisogno.

Vincere non basta, è necessario l’appoggio di Macri e il compromesso

Ora, chi scrive non intende addentrarsi nei meandri del contesto economico interno, né tantomeno avventurarsi in previsioni, sicuramente premature, sui risultati che in futuro produrranno le strategie economiche adottate da Milei, soprattutto perché in Argentina il complesso e pervasivo rapporto tra la politica e la società, eredità del peronismo, è un fattore imprevedibile.

Basti infatti pensare che alle elezioni presidenziali del Boca Juniors, la celebre squadra calcistica di Buenos Aires, si affrontano il vicepresidente uscente Juan Román Riquelme e Andrés Horacio Ibarra, dietro il quale si nasconde, ma neanche troppo, l’ex presidente Mauricio Macri, il cui partito ha sostenuto El Loco al ballottaggio e risulterà fondamentale perché l’esecutivo ottenga la maggioranza in parlamento.

In effetti, tra i privilegi che Milei intende cancellare c’è la quasi assente imposizione fiscale sulle squadre di calcio, poiché sono associazioni senza fini di lucro: egli ha invece proposto che vengano trasformate in società per azioni. Se però a conquistare la presidenza del Boca Juniors fosse, di fatto, Macri, difficilmente egli acconsentirebbe a questa riforma, se non altro per non dover aumentare i prezzi dei biglietti e scontentare così milioni di tifosi e potenziali elettori.

L’Argentina si allontana dai BRICS per abbracciare il dollaro

In sintesi, quindi, si può forse desumere che il nuovo governo dovrà riuscire nella difficile impresa di barcamenarsi tra la demolizione dell’imponente welfare assistenzialista messo in piedi dal peronismo e il mantenimento del consenso, nella speranza, flebile, che le misure adottate riescano in breve tempo a frenare l’inflazione e a far ripartire la crescita. Detto questo, la figura del neopresidente rimane un’incognita, un fattore di incertezza, caratteristica che non gioca a suo favore.

Per quanto invece riguarda la prospettiva di chi osserva la situazione argentina da Washington, la vittoria di Javier Milei è un evento decisamente rassicurante, quantomeno nel breve termine. Non solo egli ha più volte ribadito di essere un difensore “della libertà, della pace e della democrazia” e di guardare quindi con disprezzo a Vladimir Putin, alla Cina e al Brasile di Lula, ma ha promesso di invertire l’orientamento geopolitico del proprio paese a partire dalla annunciata dollarizzazione.

Il governo precedente, infatti, aveva messo in cantiere una serie di progetti intrapresi con l’intenzione di avvicinare l’Argentina a coloro i quali stavano lavorando, e tuttora continuano, alla costruzione di un mondo multipolare, un diverso ordine internazionale, in cui l’influenza degli Stati Uniti e dell’Occidente sia visibilmente ridotta, assieme al loro raggio d’azione.

L’asse di chi vuole un mondo multipolare vacilla

In conclusione del summit tenutosi tra il 22 e il 24 agosto in Sud Africa, i BRICS hanno ufficialmente invitato l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, l’Etiopia, l’Iran e proprio l’Argentina ad entrare nell’organizzazione, con il favore dell’ormai ex presidente Alberto Fernàndez e della sua vice Cristina Kirchner. L’ingresso nel club dei cinque non sarebbe stato altro che il preludio all’accesso ai fondi della New Development Bank, e non del Fondo Monetario Internazionale.

Inoltre, con il dichiarato obiettivo di ridurre la propria dipendenza dal dollaro americano, Lula e i peronisti avevano, dopo un paio d’anni di dubbi e incertezze, soprattutto da parte della Banca Centrale brasiliana, dato il via alla creazione di una moneta unica, il SUR.

La conquista della Presidenza della Repubblica da parte di Milei e la sua alleanza con Macri mettono fine alla tessitura di questa tela, con grande smacco soprattutto di Brasilia: come infatti Bolsonaro, unico prima di lui a rompere questa tradizione, ma a parti invertite, El Loco non ha incontrato per primo il presidente Lula, continuamente insultato durante la campagna elettorale, ma è invece volato a Washington, anche per incontrare, rassicurare e trattare con i funzionari del FMI; egli ha poi confermato la sua intenzione di non accettare l’invito dei BRICS, decisione che è stata definita in Cina come un grave errore.

Infine, ha promesso di visitare Israele, visto anche il suo peculiare interesse per la religione ebraica, definendo il paese come il suo principale riferimento, assieme agli Stati Uniti, a livello internazionale.

L’incognita Milei vista dall’Occidente

La rinuncia a rapporti privilegiati con Brasile e Cina, e in generale con i paesi dei BRICS, non sarà indolore, vista dal Rio de la Plata, anche perché poco meno di un terzo delle esportazioni argentine si rivolge ai mercati del club dei cinque. Di più, le negoziazioni con il FMI si sono finora rivelate assai complicate, e non è detto che l’intercedere degli USA capovolga la situazione, mentre l’accesso ai fondi della NDB sarebbe sicuramente stato molto più semplice, almeno all’inizio, dal momento che è noto l’utilizzo coercitivo fatto dalla Repubblica Popolare, di gran lunga il principale finanziatore di questa istituzione, del credito concesso ad altri paesi.

Quindi, per quanto concerne l’Occidente, avere come proprio campione in America Latina un personaggio come Javier Milei può rivelarsi un pericoloso boomerang sia per le sue stravaganze sia per i dubbi riguardanti le sue ricette economiche, oltre che per l’assurdità di alcune delle sue proposte politiche. Anche in questo caso è probabile che le elezioni americane del 2024 si riveleranno determinanti: Donald Trump, o chi per lui, potrebbe essere molto più interessato e volenteroso di spendersi per El Loco, sicuramente più di Joe Biden (o chi per lui).

di Federico Collavini