Luglio 25, 2024

Il Caffè Keynesiano

UN SORSO DI ECONOMIA PER LA PAUSA QUOTIDIANA

Altro giro, altra giostra

4 min di lettura

Se fossimo su una nave, l’inflazione assomiglierebbe a una di quelle isole che al primo bagliore dell’alba si intravedono al largo. All’inizio se ne percepiscono solo i contorni e i colori sfumati, ma in poco tempo esse si materializzano di fronte a noi lasciandoci a bocca aperta. Ed è così anche per l’inflazione, che per quasi un ventennio è rimasta silente, mentre ora, con pochi sussulti, è riuscita a far tremare i mercati e minare la speranza di una ripresa indolore. In questo appuntamento insieme a Roberto Biondini, appassionato di politiche monetarie, approfondiremo le possibili conseguenze di un’impennata dell’inflazione e i suoi effetti sull’economia italiana.

Le principali testate nazionali ed internazionali paventano il ritorno dell’inflazione e le sue ripercussioni sulla ripresa: che cosa puoi dirci a riguardo?

Effettivamente, e come riportato dal Il Sole 24 ore, ad aprile le imprese manifatturiere dell’Eurozona hanno aumentato i prezzi di vendita ad un livello mai registrato in oltre 18 anni di raccolta dati; l’inflazione Usa di aprile supera le attese degli analisti, infatti, il costo della vita ha segnato una crescita tendenziale del 4,2% (valore più alto dal 2008) a fronte di un atteso +3,6% e in sensibile accelerazione rispetto al +2,6% di marzo. Infine, il prezzo del petrolio, che com’è noto rappresenta un indice valido per capire l’andamento dell’inflazione, è in crescita e di questo è facile prenderne atto facendo anche semplicemente rifornimento di benzina. Infine, anche il prezzo delle materie prime è ugualmente in crescita, anche se ciò è dovuto principalmente a carenze di queste ultime.

Si tratta solamente di un pugno di dati, ma bastano per capire che l’inflazione non è morta, anzi, sta tornando; si era solo incagliata in una trappola dalla quale sia l’enorme quantità di moneta presente in circolazione oggi, sia le poderose politiche fiscali applicate dagli Stati, la stanno finalmente liberando e lasciando risalire. D’altronde, se un Paese come gli USA decide di investire centinaia di miliardi di dollari e l’Unione Europea adotta misure analoghe, grazie anche all’abbassamento del costo del denaro permesso dalle Banche Centrali, è chiaro che i consumi, e di conseguenza i prezzi, non possono che ripartire verso l’alto. Se poi a tutto questo ci si aggiunge il fatto che la pandemia sta piano piano scemando e una simmetrica fiducia (sempre fondamentale) sta man mano rafforzandosi, è ragionevole l’idea che l’inflazione possa tornare a correre.

E qui sorge spontanea una domanda, ma è un bene o un male che l’inflazione ritorni a correre e lo faccia col tasso di crescita riportato dai vari quotidiani?

Dipende. Da una parte il ritorno dell’inflazione è sicuramente una buona notizia per il recupero del PIL italiano, che secondo le ultime stime di Bruxelles, dopo un crollo dell’attività economica nel 2020, la peggiore della media europea (-8,9%), potrebbe ottenere un rimbalzo del 4,2% nel 2021 e del 4,4% nel 2022. E sappiamo come un miglioramento del PIL porti con sé una crescita occupazionale, quindi una crescita dei salari e una migliore sostenibilità del debito. In altre parole, tutto quello a cui le politiche fiscali e le politiche monetarie europee ed italiane miravano. Tuttavia, bisogna vedere, e sarà la realtà prima della teoria a rivelarlo, se questa crescita dell’inflazione sarà continua e costante nel tempo, sempre vicina a quel 2% che le Banche Centrali (BC) si prefiggono come obiettivo, oppure no. Le BC, infatti, tollererebbero bene un’inflazione media più alta nel breve periodo, ma non su un orizzonte temporale più lungo, poiché allora si potrebbe ricadere nella iperinflazione. Uno scenario questo, che tutti gli analisti e istituti di credito centrale cercheranno di evitare in ogni modo.

Per spiegarla più semplicemente, la fiammella dell’inflazione sta ripartendo grazie alla grande quantità di legna immessa. Se le banche centrali limitassero adesso l’avvio del fuoco per paura che diventi troppo grande, magari gettando acqua sull’inflazione, ecco che a risentirne per prima sarebbe la ripresa economica. Tuttavia, non intervenendo e lasciando che il fuoco prosegua da sé si potrebbe ugualmente correre dei rischi, come quello di perdere il controllo delle fiamme e inseguirne l’andamento piuttosto che determinarlo. In entrambi gli scenari ci sono dei rischi da assumersi e delle decisioni da prendere tempestivamente e in modo risoluto.

Quindi dobbiamo aspettarci che le Banche Centrali smettano di regalare denaro e alzino i tassi d’interesse? In altre parole, che smettano di accatastare legna e cerchino invece di gestire il fuoco che c’è ora? Ma quando accadrà tutto questo? Tra un mese, un anno? E quale sarà l’effetto sull’economia in generale?

La risposta ufficiale che abbiamo, e proviene da una delle più importanti BC, è che non sarà una prima fiammata di inflazione a rallentare gli stimoli monetari espansivi (politiche convenzionali e non convenzionali). Per ora, il presidente FED Jerome Powell continua ad assicurare che i tassi resteranno a 0% a lungo e che gli acquisti di bond continueranno al ritmo attuale finché non ci saranno «progressi sostanziali». E sulla falsa riga degli USA si sta muovendo anche la Bce, che si dice ancora certa che gli stimoli espansivi rimarranno per evitare di fermare anzitempo la ripresa economica. D’altra parte però, nelle scorse settimane, la Bank of Canada ha ridotto del 25% gli acquisti settimanali di titoli, diminuendo le iniezioni di liquidità. 

C’è quindi una risposta scomposta dai vari istituti di credito centrali?

Innanzitutto diciamo che la Bce ha più margine per mantenere attivi gli stimoli, sia perché l’inflazione dell’eurozona è più bassa rispetto a quella USA, sia perché i titoli di stato che possiede in pancia sono in percentuale più bassa rispetto a Bank of Canada, Bank of Japan e Bank of England. Quindi sì, è lecito che si facciano delle distinzioni sulla base della situazione dei singoli Paesi.

In secondo luogo, a mio avviso, i punti interrogativi a cui presto dovremo rispondere sono questi: che effetto avrà una politica monetaria restrittiva sul mercato azionario e sui rendimenti dei titoli di Stato? Questi due, infatti, rappresentano quelle categorie che più hanno beneficiato della liquidità delle BC. Il mercato azionario, infatti, è diventato la calamita di investitori alla ricerca di guadagni più alti rispetto ai titoli di Stato, e quest’ultimi, per l’appunto, sono finiti per diminuire di valore ed essere quindi divenuti più sostenibili per gli Stati che ne hanno emessi parecchi, come ad esempio l’Italia.

Quindi come pensi che reagiranno i mercati azionari? Hai già fatto una previsione?

Per quanto riguarda i mercati azionari è facile constatare come essi siano ormai a livelli molto alti, troppo alti per alcuni analisti. Wall Street, per fare un esempio, sta addirittura toccando i massimi storici, e ciò non è necessariamente un buon segno, come ci ricorda la Storia. In molti, infatti, si domandano: che cosa succederà sul mercato azionario (meno sicuro) quando i tassi di interesse obbligazionari (più sicuri), torneranno ad aumentare a causa di una ripresa dell’inflazione? E’ probabile una traslazione degli investimenti. Ed i primi scricchiolii iniziano a manifestarsi già adesso: nelle giornate in cui sono usciti i primi dati di ripresa dell’inflazione, le borse hanno iniziato a soffrire e a scontare perdite, segno che una tensione esiste ed è palpabile. Una volta che l’inflazione tornerà ufficialmente ad essere presente e le BC compreranno di nuovo il denaro, scoppierà una bolla finanziaria? Gli indici azionari drogati in precedenza, da così tanta liquidità, crolleranno? Ci saranno effetti sull’economia reale oltre che finanziaria? 

Insomma, nulla di buono all’orizzonte…

È presto per dirlo e occorre tenere a mente che la situazione dovrebbe essere più sicura rispetto al 2007-2008, quindi alla stagione della Grande Recessione, anche grazie alle nuove regolamentazioni di cui in precedenza avevamo discusso, ma solamente i prossimi dati ci daranno conferma sulla stabilità o meno del mondo finanziario.

Dando per buone e rispettate le nuove regole, e quindi per salvo il mercato azionario, che ne è del debito pubblico? Che succederà quando la Bce smetterà di comprare titoli di Stato dei vari Paesi o addirittura inizierà a rivenderli per tenere a livelli congrui l’inflazione? 

Sappiamo bene che la vendita di titoli di Stato significa più offerta rispetto alla domanda e quindi tassi d’interesse più alti sui titoli. D’altronde, se ci sono più titoli di Stato in circolazione, allora si offrirà un prezzo più basso per questi ultimi, e di conseguenza un rendimento più alto per il compratore. Ci saranno Paesi come l’Italia che toccheranno livelli di debito da capogiro e quindi avranno più interessi da pagare, ma anche in questo caso la situazione è ben diversa rispetto alla crisi del 2010 (quando lo spread galoppava). Ai tempi, infatti, il “whatever it takes” di Draghi non esisteva ancora e la politica fiscale comune era solo un miraggio. Molto dipenderà da come i Paesi che sorreggono un debito alto riusciranno ad agire virtuosamente in termini di spesa, investimento e rientro graduale del debito.

In altre parole non resta che incrociare le dita e allacciare le cinture di sicurezza!

Ad essere sinceri, molto dipenderà dalla credibilità di un piano efficiente, il Piano di Ripresa e Resilienza per essere chiari, ma ritengo difficile che una tempesta di spread potrà colpirci nuovamente nei prossimi anni, almeno non con l’intensità del 2010/11. Ma siamo noi, intesi come Paese, gli artefici del nostro destino. È vero, infatti, che stiamo navigando in un mare inesplorato, dove le Banche Centrali sono capaci di generare così tanto denaro come mai prima nella Storia, e di conseguenza calmierare le speculazioni di cui le diverse sfaccettature saranno chiare solo col tempo, ma siamo anche in balia di promesse di remissione dei peccati atavici, che come Italia ci portiamo dietro da tanto, forse troppo tempo. Ed ora, come non mai, la risorsa di cui non disponiamo più è proprio il tempo.

In questa rubrica, vi abbiamo raccontato i meccanismi della Giostra dell’inflazione, dall’ingranaggio più semplice a quello più complesso, dai momenti dove a generare la paura è la vertigine a quelli dove a prevalere è l’ansia dell’abisso, fino a descrivere il peso che questo meccanismo economico gioca a livello nazionale ed europeo. Ma al di là di tutto questo, che cos’è davvero l’inflazione e perché parlarne proprio adesso? 

La risposta è in questo racconto. Due tonni nuotano nel mare, e quando all’improvviso incrociano un delfino che domanda loro “com’è l’acqua oggi?”, i due si guardano tra di loro e non proferiscono parola, così il delfino riprende a nuotare e si allontana da essi. A questo punto uno dei due tonni chiede all’altro “ma che cos’è l’acqua?”. Ecco, l’inflazione è esattamente questo: è una delle correnti più forti nell’oceano dell’economia, di cui ognuno di noi è in perenne balia, ma di cui spesso ignoriamo la presenza. Ed è per questa ragione che capirne la direzione e il funzionamento, fino a prevederne la forza, è indispensabile per non subirne gli effetti più nocivi. Ma c’è di più, perché a differenza di una corrente oceanica, la cui natura è pressoché indipendente dall’azione umana, nel caso dell’inflazione, invece, ognuno di noi gioca un ruolo attivo nel determinarne l’andamento. 

In tal senso, l’inflazione è a tutti gli effetti una giostra dalla quale nessuno può scendere e di cui il controllo è soggetto tanto alla razionalità quanto all’irrazionalità, le quali albergano sia nel macchinista che la manovra, sia in ognuno di noi. Ed è in questo che risiede il suo fascino: essere a bordo di un mezzo che genera tanta euforia quanta paura e di cui quasi nessuno conosce davvero le sorti, perché un conto è aver studiato la teoria necessaria per capire la realtà, un altro è viverla. Una realtà che bussa al portafoglio di ognuno di noi e che, per la prima volta, coinvolge la moneta unica, l’Euro, e la sua comunità, la quale dovrà affrontare le montagne russe tra le più impervie che un banchiere centrale abbia sinora affrontato. E noi, Italia, siamo proprio in fondo alla giostra, là dove le curve del percorso si fanno sentire di più, generando così colpi e contraccolpi di forza maggiore rispetto a chi guida il gruppo arrivato prima di noi. Per questo motivo dobbiamo oltremodo conoscere le caratteristiche della giostra su cui stiamo viaggiando.

Ed è per questo, cari lettori, con l’auspicio che questa guida vi possa rendere più dolce il prossimo viaggio, che vi invitiamo a prendere posto e allacciare ben salde le cinture di sicurezza, per un giro di giostra che nessuno ha mai sperimentato prima d’ora e di cui saremo, e faremo, la Storia.  

Roberto Biondini e Claudio Dolci