Luglio 24, 2024

Il Caffè Keynesiano

UN SORSO DI ECONOMIA PER LA PAUSA QUOTIDIANA

Le leve di comando

4 min di lettura

La giostra dell’inflazione è qualcosa di più della somma dei suoi ingranaggi ed è per questo che per comprenderne il funzionamento occorrerà lasciarsi alle spalle concetti noti, come buono e cattivo, per immergersi così nel ventre di questa macchina e svelarne le dinamiche: da quelle più ovvie, a quelle più sottili. Poiché se è vero che a ogni azione corrisponde sempre una reazione, è vero anche che nel caso dell’inflazione ci si scontra spesso con una nebbia multifattoriale che solo chi conosce la materia può affrontare senza ferir colpo, o quasi. Ed è per questo che sarà Roberto Biondini, appassionato di politiche monetarie, laureato alla Luigi Bocconi in economia e finanza a raccontarci il dietro le quinte di uno degli ingranaggi più complessi e affascinanti del mondo economico, in questo secondo appuntamento.

Durante la scorsa intervista abbiamo familiarizzato col concetto di inflazione, ma siamo ancora lontani dal comprenderne le logiche. Ad esempio, da che cosa dipende l’inflazione?

Questa è forse una delle domande più complesse a cui rispondere, perché è come chiedersi da che cosa dipenda il funzionamento di un’automobile, dove ad essere coinvolti sono più pezzi meccanici contemporaneamente. Ad esempio, vi sono elementi essenziali per il corretto funzionamento, come il telaio, il motore, lo sterzo e le ruote, e poi ve ne sono altri considerati marginali, come potrebbe essere il pomello del cambio, che però sono pur sempre necessario per condurre un veicolo. Ecco che anche nel caso dell’inflazione occorre ragionare in termini di multifattorialità, distinguendo le parti essenziali da quelle considerate marginali, le quali giocano comunque un ruolo nel regolare il tutto.

E se dovessi identificare quegli elementi imprescindibili per comprendere da che cosa dipenda l’andamento dell’inflazione, quali citeresti e perché?

La prima causa è sicuramente il livello di concorrenza presente in un mercato di beni. Solitamente, più il valore della concorrenza sarà alto, più sarà basso il livello dei prezzi e viceversa, ed il perché è abbastanza semplice. Immagina di essere in un deserto senza alcuna fonte d’acqua con la quale dissetarti e di incontrare casualmente qualcuno che sia disposto a venderti una borraccia intera. Quel qualcuno potrebbe essere l’unica anima viva nel raggio di miglia e forse la sola persona disposta a vendere la propria scorta d’acqua. E proprio per via di questa combinazione di fattori, il venditore si ritrova in una posizione di forza e potrebbe quindi decidere di alzare molto il prezzo della borraccia, così da guadagnarci di più. Al contrario, se esistessero altri cinque venditori di acqua, ecco che allora inizierebbe una gara tra di essi, probabilmente al ribasso, per aggiudicarsi la vendita della borraccia. La bagarre potrebbe condurre qualche sconsiderato a rinunciare persino al proprio tornaconto e ad accontentarsi della sola vendita della borraccia: in tale circostanza (che nella realtà è rara come un cigno nero) si parlerebbe di concorrenza perfetta.

Una seconda causa dell’inflazione, invece, è quella che vede coinvolti i costi di produzione. Facciamo anche qui un esempio: per produrre un bene si utilizzano diversi sottoprodotti, dall’energia alla forza lavoro, ma se domani il prezzo del petrolio – ad esempio – aumentasse vertiginosamente, come è tra l’altro successo negli anni ’70, ecco che allora i prezzi dei beni salirebbero in modo proporzionale. Viceversa, se il prezzo del greggio scendesse, ecco che anche i beni che ne fanno uso per la loro produzione subirebbero un calo. Certo, il primo passaggio è più diretto, mentre il secondo un po’ più lento, come dimostrano i prezzi in bolletta e quelli della benzina quando sale l’offerta e cala la domanda, ma a livello teorico il meccanismo è lo stesso.

Una terza causa, anch’essa ben documentata, è quella legata al salario dei lavoratori. Per capire questo meccanismo occorre riprendere la famosa curva di Philips, la quale lega in maniera inversa l’inflazione e la disoccupazione. In altre parole, una minore disoccupazione, quindi un aumento di offerta di lavoro, comporta una richiesta di salario più alto da parte dei lavoratori. E questo è ovvio, perché se domani tutti cercano spazzacamini e ce ne sono pochi, ecco che potranno scegliere da chi andare e ovviamente al prezzo più alto possibile. Di conseguenza, a livello di chi produce beni, ecco che per aumentare il salario sarà necessario aumentare i prezzi di vendita e quindi crescerà l’inflazione. Al contrario, se domani nessuno avesse bisogno di spazzacamini e questi fossero in eccesso, ve ne sarebbero molti disoccupati e di conseguenza si presenterebbe un calo del prezzo del loro salario.  Peccato che il rapporto descritto da Philips, e dalla sua curva, nel tempo si sia affievolito e oggi tutti sanno che non sempre un aumento dell’occupazione conduce ad un’ascesa dei prezzi. Su quest’ultimo punto, il discorso si complica, perché come vedremo nelle prossime puntate, negli anni ‘70 l’inflazione era alta ma lo era anche la disoccupazione. La situazione è controversa e a tutt’oggi si discute su un migliore strumento rispetto che alla curva di Philips come metodo per spiegare la variazione dell’inflazione. Ad esempio la la NAIRU, detta anche teoria del livello naturale di disoccupazione, che distingue tra curve di Phillips di breve o di lungo periodo.

Fino ad adesso, mi sembra che i rapporti di causa ed effetto descritti siano abbastanza intelligibili e tutto sommato persino controllabili.

Sì, all’apparenza è così, ma devi sempre tenere a mente che quando ad essere coinvolto è un artefatto umano, c’è sempre qualcosa che esula lo schema e produce caos. Ed anche in questo caso, è stato dimostrato come persino le aspettative giochino un ruolo centrale nel determinare il livello d’inflazione. Lo so, sembra fantascienza, nel migliore dei casi, ma a parità di altre condizioni, se tutti noi crediamo che l’anno successivo l’inflazione aumenterà del famoso 2% di cui avevamo parlato la volta scorsa, è possibile che sia possibile registrare proprio tale crescita. Certo, stiamo parlando di condizioni rare, ma sono pur sempre analiticamente possibili. 

Dal piano dell’economia siamo passati a quello della superstizione, ma al di là di queste eccezioni, immagino vi siano altri ingranaggi di cui non abbiamo ancora parlato. Quali sono?

Ebbene sì. Un’altra tra le principali cause della variazione dell’inflazione deriva dal tasso d’interesse nominale, cioè da quanti euro si dovranno pagare in futuro per avere uno di oggi, e più questo valore è basso, più sarà alta l’inflazione e viceversa. Sembra complesso da capire, ma in realtà è abbastanza intuitivo. Ipotizziamo, in primo luogo, che tu abbia 1.000€ e sia indeciso se spenderli per un nuovo smartphone oppure investirli, ecco che il valore del tasso d’interesse dell’investimento ti può aiutare a prendere questa decisione; perché più questo indicatore sarà alto, più ti converrà investire i tuoi soldi, mentre più sarà basso, maggiore sarà l’incentivo a comprarti uno smartphone. D’altro canto, se si scommette sul fatto che l’euro di domani varrà come quello di oggi – quindi che perdurerà un tasso d’interesse nominale basso – allora risulterà conveniente spendere i propri soldi oggi, magari per un acquisto immediato, piuttosto che sperare in una rendita futura.

E questo meccanismo funziona anche al contrario, cioè quando quei soldi non li hai e devi quindi prenderli in prestito, magari da una banca. Ecco che con un tasso d’interesse basso risulta conveniente chiedere un prestito, in virtù del fatto che la cifra da restituire non sarebbe poi così più alta rispetto a quella ricevuta. Una volta ottenuto il prestito, inoltre, sia privati che cittadini spenderebbero il denaro nell’economia di tutti i giorni, aumentando così la domanda di beni e di conseguenza i loro prezzi, nonché l’inflazione stessa. In altre parole, il tasso d’interesse nominale ci fornisce sia una bussola sulla quale è possibile costruire delle previsioni circa il comportamento delle persone, sia una pedaliera col quale regolare la velocità della giostra dell’inflazione. Con un tasso d’interesse alto, infatti, è più conveniente investire e non contrarre debiti, i consumi rallentano e con essi l’inflazione. Al contrario, all’abbassarsi del tasso nominale saranno premiati i comportamenti opposti, i quali determinano a loro volta un aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione, che potrà così tornare a correre.

In altre parole, il tasso d’interesse ti dice quanto costa il denaro e più esso è economico, tanto più si sarà invogliati a spendere, sia per chi i soldi non li ha, sia per chi, invece, ne possiede parecchi.

Tutto questo è chiaro e spiega anche il perché diversi esponenti politici pongano l’accento sulla gestione della propria valuta nazionale e quindi implicitamente su quella pedaliera di cui abbiamo discusso. Sono quindi le banche centrali a controllare il meccanismo che regola la velocità del tasso nominale e di conseguenza dell’inflazione? E se è così, perché non riescono a viaggiare a quel famoso 2% annuo di cui abbiamo a lungo parlato? In fondo si tratta solo di regolare un tasso e con esso il comportamento delle persone.

Sì, è vero, sono le Banche Centrali dei singoli Stati a manovrare il tasso d’interesse nominale e dal suo valore è possibile regolare l’inflazione. Ma è vero anche anche qui rientriamo in quella parte del meccanismo della giostra in cui prevale la componente umana meno razionale e proprio per questa ragione occorrerà affrontare l’argomento in un’altra sede e con più spazio. Per ora ti basti sapere che se la regolazione di questo tasso fosse così semplice e diretta, com’è quella dell’acceleratore di una macchina, la giostra dell’inflazione non sarebbe altro che l’ennesimo oggetto da poter smontare e assemblare a piacimento, senza incappare in alcuna sorpresa, ma non è così, ed è proprio questo che rende affascinante questa materia.

È come se per comprendere il funzionamento della giostra dell’inflazione fosse sì necessario conoscere ogni suo singolo componente, ma vi siano comunque altri fattori che giocano un ruolo attivo e che derivano dall’irrazionalità umana. Una costante quest’ultima, capace di contagiare tutti gli artefatti della società contemporanea: meccanismi economici compresi.

Roberto Biondini e Claudio Dolci