Nein! La svolta tanto attesa, ed invocata ormai 8 mesi fa dal dimissionario governo Draghi, è stata sonoramente stroncata dai vertici europei. Si dovrà dunque attendere sino al 6 ottobre per sapere se ci sarà o meno un price cap al tetto del gas e ciò dovuto al veto imposto dall’Ungheria, dalla Slovenia, dall’Austria, dai Paesi Bassi, dalla Repubblica Ceca e infine dalla Germania. Inutile dirlo, a pesare maggiormente è stato il dissenso di quest’ultima, la quale teme il blocco totale di qualunque fornitura di gas russo e con essa uno stop della propria industria, un aumento della disoccupazione e il rischio di tensioni sociali: in breve, no gas, no Pil. Di fronte a questa decisione gli osservatori economici si sono divisi in due blocchi, quello degli ottimisti da una parte e dei pessimisti dall’altra.
Dalla parte degli ottimisti
Chi nonostante tutto continua a vedere il bicchiere mezzo pieno confida nella razionalità degli attori economici e nelle aspettative, si spera positive, del mercato (le quali, almeno al momento, riemergono puntualmente nelle analisi statistiche). Dal lato razionale, l’idea che in breve tempo la Russia possa reindirizzare i propri gasdotti verso la Cina e l’India, così come si potrebbe fare con la canna per irrigare il giardino, risulta priva di fondamento. Da ciò ne consegue che senza l’Europa a spingere la domanda, al gas russo non resti che venir bruciato in Siberia (come già avviene) per mantenere la stabilità dei giacimenti. Sempre in quest’ottica, è ritenuto altrettanto assurdo che l’establishment russo continui nell’autoflagellazione della propria economia, la quale registra un calo del Pil a doppia cifra. Certo, c’è chi, soprattutto in Italia, dirà che tutto sommato poteva andare peggio e che quindi le sanzioni funzionino poco, il realtà il quadro è più complesso. La Russia sta letteralmente facendo di tutto per mantenere stabile la propria economia e ci riesce grazie a importazioni ridotte e maggiori entrate dal comparto commodities (grano, gas, petrolio, fertilizzanti ecc.). Tuttavia, proprio le scarse importazioni fanno presagire un venturo collasso della produzione interna, dovuto principalmente alla difficoltà nel reperire componenti ad alto contenuto tecnologico, ormai da anni in outsourcing (come, ad esempio, le turbine della Siemens per i gasdotti). Certo, se Atene piange Sparta non ride e l’attuale inflazione europea (trainata soprattutto dal comparto energetico, oltre che dai colli di bottiglia) n’è la prova; ma al momento dire chi, tra Ue e Russia, spunterà partita non è facile.
Un altro elemento a favore degli ottimisti è quello che riguarda il livello di stoccaggio delle riserve di gas nazionali, a cui si sta ora accompagnando una politica di risparmio energetico e la solidarietà promossa in seno all’Ue. Il governo Draghi, infatti, ha appena approvato il piano di risparmio energetico nazionale, che entro poche settimane dovrebbe essere reso operativo, il quale prevede che il riscaldamento si accenda più tardi, resti in funzione un’ora in meno e si abbassi di un grado per l’intera stagione invernale. Insieme a queste misure il Ministero della Transizione Ecologica ha ha fornito anche i numeri sull’approvvigionamento alternativo per evitare eventuali shock causati dallo stop al gas russo; come ad esempio la massimizzazione della produzione a carbone e a olio delle centrali già esistenti e regolarmente in servizio, che contribuirà da solo (per il periodo 1° agosto 2022 – 31 marzo 2023) a una riduzione di circa 2,1 miliardi di metri cubi di gas.
Le stime sull’impatto di tutte le misure di contenimento previste dal Mite porteranno ad un potenziale risparmio di circa 5,3 miliardi di Smc di gas, conteggiando anche la massimizzazione della produzione di energia elettrica da combustibili diversi dal gas (circa 2,1 miliardi di Smc di gas) e i risparmi connessi al contenimento del riscaldamento (circa 3,2 miliardi di Smc di gas), cui si aggiungono le misure comportamentali da promuovere attraverso campagne di sensibilizzazione degli utenti ai fini di ottonere un atteggiamento più virtuoso nei confronti dei consumi. Attualmente, e come già anticipato, il piano di stoccaggio nazionale di gas in vista del prossimo inverno (quale potenziamento dalle misure anticrisi energetica approvate successivamente alla guerra in Ucraina) procede puntualmente. Al primo settembre 2022 gli stoccaggi erano all’83%, in linea con l’obiettivo di riempimento superiore al 90%.
A questa lettura ottimistica del presente si accompagna a braccetto anche l’ultimo report trimestrale dell’Istat che vede un’economia italiana non ancora duramente colpita dalla crisi energetica, anzi, i dati riportati nel report sono tutt’altro che negativi. Nel secondo trimestre del 2022 il Pil nazionale è aumentato dell’1,1% rispetto al trimestre precedente e del 4,7% nei confronti del secondo trimestre del 2021. La variazione quindi acquisita per il 2022 è pari a +3,5%. Rispetto al trimestre precedente, invece, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in ripresa, con un aumento dell’1,7% sia dei consumi finali nazionali, sia degli investimenti fissi lordi. Infine, le importazioni e le esportazioni sono aumentate, rispettivamente, del +3,3% e del +2,5%.
Il bicchiere mezzo vuoto e la crisi in arrivo
Chi invece vede il bicchiere mezzo vuoto legge i dati del momento come l’annuncio dell’imminente recessione. Goldman Sachs, ad esempio, ha previsto un aumento dei costi energetici europei, a partire dall’inizio del 2023, per un importo di 2 trilioni di dollari, pari al 15% del Pil europeo (e lo scenario migliore, nel peggiore si parla 4 trilioni e del 30% del Pil). Dal punto di vista del consumatore ciò si tradurrebbe con un aumento mensile delle bollette pari a 500€ (nel migliore degli scenari) e di 590€ nel peggiore. Considerando l’affitto, una macchina e l’inflazione che divora il potere d’acquisto, anche uno stipendio medio rischia di non essere più uno scudo efficace contro il caro vita. Sempre per restare in tema aumenti, anche Confartigianato ha annunciato che col caro energia sono a rischio 881.264 micro imprese e quindi 3.529.000 di posti di lavoro. Già ora le bollette stanno mettendo in ginocchio le imprese, soprattutto quelle energivore, che poi sono quelle che forniscono i materiali per la trasformazione degli altri prodotti. Un esempio esplicativo è quello delle vetrerie che devono mantenere accesi i forni e il cui vetro serve per praticamente di tutto, dalle bottiglie per il vino ai barattoli per la conserva. Infine, ad annunciare che il canarino in miniera è prossimo alla morte, si è aggiunta anche l’agenzia di rating Fitch, la quale stima che con un flusso di gas russo pari al 20% (sempre miglior scenario) si avrà un effetto negativo sul Pil tedesco pari al 3% e su quello italiano del 2,5%.
Che cosa succederà nei prossimi mesi?
Chi ha ragione? Lo si vedrà solo col tempo, ma due sono gli aspetti che devono far riflettere. Il primo, come ha ammesso la stessa Lagarde, è che la Bce ha sbagliato le proprie valutazioni circa l’impatto del Covid e della guerra in Ucraina sull’inflazione. Come riportato dall’agenzia Ansa, Lagarde ha affermato che “Abbiamo fatto degli errori nelle previsioni sull’inflazione, come tutte le istituzioni internazionali, come molti economisti, perché è virtualmente impossibile prevedere e includere nei modelli il Covid, la guerra in Ucraina, il ricatto sull’energia. Me ne assumo la colpa perché sono il capo dell’istituzione”; aggiungendo poi, “Abbiamo fatto errori, abbiamo capito le cause, e vi posso assicurare che lo staff aggiorna costantemente, integra quello che finora non era stato preso in considerazione”.
Il secondo, invece, riguarda il fatto che la moneta (l’euro) e il mercato (Ttf) restano preminenti rispetto alla crescita. L’euro continua infatti a oscillare sulla parità col dollaro e in questi ultimi tempi è sceso addirittura sotto. I motivi sono tanti: crisi ucraina, crisi energetica, tassi d’interesse ancora bassi. E se da un lato una moneta debole permette di agevolare le esportazioni, dall’altro il rovescio della medaglia è presto detto: l’import subisce un colpo molto forte. E se il mercato (Ttf) dove il gas viene scambiato rimane a livelli estremi, il risultato di questa addizione è presto detta. D’altra parte, per apprezzare la moneta (anche se si ricorda che non fa parte degli obiettivi della BCE) occorre aumentare i tassi, come ha fatto Francoforte l’altro giorno per bloccare l’inflazione. Ma come si sa, un aumento dei tassi significa costo del denaro più alto, mutui più cari, rischio paralisi economica. La via è stretta, non vi è dubbio. Ma sta alla politica fiscale, non a quella monetaria, trovare una soluzione efficace per edulcorare l’impatto economico della crisi.
A conti fatti l’accoppiata tra questi due elementi (poiltiche monetarie e modelli previsionali) rischia di complicare ulteriormente la situazione dei ceti meno abbienti, soprattutto se accompagnata dalla cecità nei confronti della lettura geopolitica del momento storico. D’altronde, come sostengono da mesi Fabbri e Caracciolo, il popolo russo vive di gloria immateriale: se il blocco del gas si renderà strategico non ci sarà valutazione economica e/o razionale che possa impedire alla Russia di continuare la sua azione di stop all’occidente.
Difficile sapere come andrà a finire ed ancor più difficile è sapere quando la crisi potrà finire. L’Europa ha di fatto scelto una via etica di grande valore: sanzionare la Russia per aver invaso uno Stato straniero. Ma gli stati europei saranno altrettanto pronti a scontare una crisi economica quasi inevitabile per i loro ideali?
Di Claudio Dolci e Roberto Biondini
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