Luglio 24, 2024

Il Caffè Keynesiano

UN SORSO DI ECONOMIA PER LA PAUSA QUOTIDIANA

L’Italia deve dimostrare maturità geopolitica

Al 41esimo meeting di Rimini, il già presidente della BCE e del Consiglio Mario Draghi aveva parlato di debito buono e di debito cattivo. E la differenza sostanziale si potrebbe riassumere nello spendere denaro pubblico in investimenti, ricerca, produttività piuttosto che in spesa corrente incapace di rigenerare un introito nel medio termine ma soltanto di oberare sulle finanze pubbliche. Con il suo intervento a Rimini, Draghi riprendeva il suo discorso ad inizio pandemia con quel contributo sul Financial Times a marzo 2020 in cui poneva l’accento sugli alti livelli di debito pubblico necessari per non soccombere alla crisi. Una parabola che era stata accolta da tutti come uno stacco rispetto all’era cosiddetta dell’austerità a cui eravamo stati abituati dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008.

Che il clima fosse cambiato lo si è poi concretamente visto quando, per la prima volta della Storia europea, gli stati aderenti alla UE hanno quindi deciso di fare debito comune, realizzando quel tassello di politica fiscale comunitaria che già da tempo era stata teorizzata per rimanere però soltanto su carta. Grazie al Next Generation EU, l’euro ha trovato finalmente il suo compagno di viaggio: accompagnare una politica monetaria comune ad una politica fiscale comune incentrata sugli investimenti e sulla crescita, il New Deal europeo, un Piano Marshall esponenziale. L’eredità di Keynes, gli insegnamenti di Caffè e gli interventi di Draghi hanno trovato realizzazione con uno sforzo politico non semplice in Europa. E se certamente l’aspetto ideologico di dimostrare finalmente di essere un’Unione solidale ha giocato la sua parte per frenare i populismi, non da meno è stata la brusca frenata economica dovuta dal Covid con l’incapacità anche per gli stati frugali come la Germania di riuscire da soli, a far decollare un piano di portata colossale. Il pragmatismo accompagna sempre la geopolitica, nessuno è buono e nessuno è cattivo (a differenza del debito) ma tutti guardano agli interessi che una scelta può scaturire.

Capire che nel 2023 sono gli “Stati-continente” che fanno la Storia e non più le nazioni nate dalla Pace di Westfalia nel 1648 è oltremodo necessario. Se non ci fosse stata l’Unione Europea (unita) a fare debito comune nel 2020, Stati come l’Italia schiacciati dal macigno del debito pubblico, paralizzati da un’improduttività imbarazzante e immobilizzati nel reddito pro capite, avrebbero fatto poco; anzi, probabilmente non ce l’avrebbero fatta. E lo si può notare chiaramente anche nella questione migranti: più uno Stato è sovranista, più fa fatica a trovare una soluzione e, specularmente, meno è disposto a trovare una soluzione. Con una battuta: i sovranisti sono i peggiori amici dei sovranisti. Serve a poco urlare ai tavoli (lo diceva Roosevelt) e a maggior ragione quando non si è proprio in condizioni economiche di farlo, anzi, quando le tue condizioni economiche dipendono dai tuoi alleati geopolitici e da tutti gli investitori che ti prestano denaro. È sorprendente vedere quanto sono sorpresi i sovranisti quando i loro interlocutori sbattono loro la porta in faccia dopo aver fondato una carriera politica sugli insulti e le offese nei confronti degli interlocutori stessi. E d’altra parte, nell’epoca post-moderna in cui viviamo, i sovranisti si appellano alla solidarietà internazionale, alla collaborazione europea, insomma chiedono più Europa. Non di meno, hanno ben accettato i fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (giustamente si deve aggiungere) ma sono meno propensi a collaborare quando si tratta di assumersi doveri oltre che diritti.

Sì, perché solidarietà e comunità significa anche grande responsabilità: nel momento in cui è assodato che solo collaborando si può mantenere l’indipendenza economica e culturale e sopravvivere alle Super potenze mondiali, non bisogna poi dimenticarsi che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. L’Italia è stata la maggior beneficiaria del PNRR, ha cioè ricevuto più denaro di qualsiasi altro Stato europeo. A fronte di ciò, è stato chiesto però di essere puntuali nell’uso dei fondi, precisi negli investimenti e seri nell’applicazione delle riforme necessarie. Politiche che lo Stato italiano ha quindi accolto come proprie nel momento in cui ha accettato denaro estero. Ecco, l’incapacità di spendere denaro, i notevoli ritardi nel presentare i propri piani semestrali non giovano chiaramente alla nostra credibilità internazionale: soprattutto se a ciò aggiungiamo i dissapori e le offese che Roma continua a lanciare contro periodici nemici immaginari “Ottant’anni fa il governo tedesco decise di invadere gli Stati con l’esercito ma gli andò male, ora finanziano l’invasione dei clandestini per destabilizzare i governi che non piacciono ai socialdemocratici” cit. Andrea Crippa. Oltre che essere vomitevole, come può risultare utile all’Italia una geopolitica del genere? E continuando sul lato economico: perché aumentare un deficit a oltre il 5% (e circa 23 miliardi di euro in disavanzo in più nel triennio) quando non si è capaci di usare il debito che esiste già dando manforte a chi chiede un irrigidimento del Nuovo Patto di Stabilità e crescita che a breve verrà rimesso in piedi? Che senso ha opporsi ideologicamente alla riforma del MES quando i primi beneficiari (allorquando lo si volesse attivare, non per forza) saremmo proprio noi?

L’Italia neo-sovranista è così ideologicamente atlantica quanto poco pragmaticamente europeista, un continuo corto circuito illogico che pare però interessi poco ai cittadini. Era già Freud che metteva in guardia: “La massa è straordinariamente influenzabile e credula, è acritica, per essa non esiste il verosimile […] Chi deve agire su di essa non ha bisogno di coerenza logica fra i propri argomenti, deve dipingere nei colori più violenti, esagerare e ripetere sempre la stessa cosa.” Difficile non notare oggi una somiglianza con la modalità sovranista di fare politica e trattare i cittadini.

Da soli, insomma, non si va da nessuna parte, lo devono capire tutti gli Stati partecipanti all’Unione. Se la pandemia sembrava la sfida del secolo, quella che si sta creando oggi con inflazione galoppante, disuguaglianze sempre più marcate, migrazioni in crescita, nuove super potenze, debito alto, crisi climatica e demografia al ribasso è proprio la sfida del millennio e sia il pragmatismo che il realismo, come successo per il Next Generation EU, devono essere i motori per guidare l’Europa verso il futuro.

di Roberto Biondini