È di qualche giorno la proposta ripresa dal leader del M5S Giuseppe Conte di ridurre la settimana lavorativa a #4giorni (32 ore a settimana invece che 40).
Il tema è in realtà in circolazione da un po’ e non solo in Italia – dove qualche tempo prima anche la segretaria del PD ha accennato qualcosa – ma in tutta Europa, per ora però applicato maggiormente da singole realtà imprenditoriali.
Però come tutte le cose in questo mondo il punto è più complesso, non si può semplicemente lottare per qualcosa perchè ad impatto sembra bello.
Una parola : #Produttività.
È questa parola a smontare tutte le immaginazione romantiche dell’immediato. L’Italia negli ultimi 30 e più anni ha smesso di investire, lo ripetiamo in loop, e questo significa che un #lavoratore di oggi è uno di ieri hanno una differenza nelle loro capacità molto minore di quanto potrebbero o dovrebbero in un normale periodo di progresso e questa cosa si vede con molteplici numeri, in primis con i salari reali negativi e con il PIL neanche raddoppiato in questo arco temporale.
Anche la stessa struttura economica – anche conseguentemente al punto precedente – rende poco fattibile al momento questa bella idea teorica.
Un’economia dove non solo le grandi aziende sono poche, ma dove le più piccole sono o appunto rimaste maggiormente indietro o non adatte al contesto non può pensare di fare questo grande passo.
La questione della riduzione dell’#orario di lavoro può essere un’idea sensata in un più grande progetto di riadattamento della società, dove si mette al centro l’equilibrio con il resto delle nostre vite, dove si valorizza maggiormente l’effetto mentale dell’eccesso di lavoro, dove si riesce a minimizzare il consumo di risorse, attraverso il riciclo e un riassestamento della domanda, insomma nella famosa ottica di #sostenibilità.
Ma ciò senza le basi non è pensabile.
Sbandierare una questione così grande senza fondamenti è molto più un male che un bene, rischiando di alimentare semplicemente rabbia fine a sè stessa che non fa alcun bene ad una società già in difficoltà e emotivamente colpita per tanti motivi.
Che l’economia e la società debbano cambiare è vero, ma urlare “finte soluzioni” non aiuteranno a questo percorso.
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